Diffamazione a mezzo stampa

Diffamazione a mezzo stampa

Oggi parliamo di diffamazione a mezzo stampa.

La diffamazione è il delitto previsto dall’art. 595 del codice penale italiano.

La questione della richiesta di risarcimento danni conseguenti alla pubblicazione di contenuti di atti di indagine svolte dalla Procura della Repubblica, ritenuta lesiva del diritto alla privacy e di contenuto diffamatorio, soprattutto in relazione alla prospettazione, in chiave colpevolistica, di ipotesi delittuose non ancora sottoposte al vaglio del magistrato, è argomento di discussione accesa e si prospetta sempre più spesso quale oggetto di vertenze.
La terza Sezione Civ. della Cassazione con sentenza 20 gennaio 2015 n. 838, ha esaminato la questione e si è pronunciata fondando la pretesa risarcitoria sul reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale di cui all’art. 684 c.p., riguardante la pubblicazione, totale o parziale, di atti o documenti di un procedimento penale di cui sia vietata per legge la pubblicazione, a prescindere dal fatto che esso concorra con la diffamazione.

A fondamento dell’enunciazione della predetta sentenza vi è una correlazione immediata con la ritenuta autonomia della tutela fondata sulla violazione delle norme concernenti il segreto su atti processuali rispetto a quella correlata alla diffamazione, in ragione della plurioffensività del reato di cui all’art. 684 c.p. , volto al tempo stesso a tutelare nella fase istruttoria, la dignità e la reputazione di tutti coloro che partecipano al processo, nonché l’interesse dello Stato al retto funzionamento dell’attività giudiziaria, al fine di garantire l’assenza di condizionamenti del Giudice del dibattimento eventuale (Cass. Civ. , 18 luglio 2013, n. 17602; Cass. Pen. 42269 2004; cass. Pen. n. 17051 2013).
La sentenza ha aderito ad un’interpretazione dell’art. 114 c.p. c. secondo il quale vengono delineati gli ambiti entro i quali opera il divieto di divulgazione degli atti coperti da segreto, venendo così ad integrare il precetto penale, rilevando che l’art. 114 al comma 2 prevede, rispetto al divieto assoluto di pubblicazione, parziale, per riassunto o per contenuto, vieta la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti da segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare, che conduce ad elidere ogni rilievo al dato quantitativo della limitazione al contenuto della trascrizione dell’atto non divulgabile, enunciando il principio secondo il quale, fatta salva la possibilità di pubblicare il contenuto di atti non coperti da segreto, non può derogarsi al divieto di pubblicazione di tali atti mediante riproduzione integrale o parziale o estrapolazione di frasi, nei casi previsti dall’art. 114 c.p.c., in dipendenza del dato quantitativo della limitazione alla riproduzione, trattandosi di deroga non prevista dalla norma e non compatibile con esigenze sottese alla disciplina relativa alla pubblicazione dio atti di un procedimento penale.

Sotto il profilo della tutela apprestata dalla previsione incriminatrice di cui all’art. 684 c.p., la natura plurioffensiva del reato affermata dalla prevalente giurisprudenza viene posta in dubbio dalla sentenza della Terza Sezione Civ. della Cassazione del 19 settembre 2014 n. 19746, la quale ha statuito che la tutela penale accordata dall’art. 684 c.p. non attiene alla sfera di riservatezza dell’indagato o dell’imputato, ma alla protezione delle esigenze di giustizia inerenti il processo penale nella delicata sfera di acquisizione della prova. Dunque ove si ritenesse che l’offensività fosse incentrata solo sul profilo pubblicistico della giurisdizione, si riproporrebbe il problema della legittimazione del privato a far valere la pretesa risarcitoria per la violazione dell’art. 684 c.p., in assenza di un concreto pregiudizio alla sua reputazione, non omettendosi di rilevare che il tema problematico centrale è quello della possibilità o meno, che la riproduzione anche parziale di atti non divulgabili, ai sensi dell’art. 114 c.p.c. integri il reato di cui all’art. 684 c.p., ove alla limitata riproduzione si accompagni la marginalità del contenuto, che si potrebbe avere anche nel rapporto quantitativo fra gli atti pubblicati e quelli del procedimento penale.

Il Giudice del merito verifica inoltre se vi sia violazione del D. lgs. N. 196 del 2003 in presenza del reato di cui all’art. 684 c.p., integrato da riproduzione i violazione all’art. 114 c.p.c., sussistendo una illecita pubblicazione ai sensi della normativa sulla riservatezza dei dati personali.
Si tenga sempre conto che vengono comunque implicati valori di rango costituzionale che attengono alla tutela della personalità , della libertà di stampa ed all’esercizio della giurisdizione e della certezza del diritto in ordine al combinato disposto dell’art. 114 c.p.c. e dell’art. 684 c.p. (Cass. Ordinanza interlocutoria Prima Sezione Civ. 22003 del 28/10/2015).

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